giovedì 16 maggio 2013

Osvaldo Ardenghi

Trent’anni fa Osvaldo Ardenghi imperversava nelle valli bergamasche lanciando fuoco e fiamme dalla sua Stratocaster che evocava, una sera sì e l’altra pure, il fantasma di Duane Allman. A differenza di oggi, la sfida non era trovare un posto dove suonare, ma uscirne vivi e da lì, archiviate le glorie della Moss Band, Osvaldo Ardenghi ha scelto mille peripezie per continuare a strapazzare le sue chitarre che l’hanno portato a collaborare tanto con Enzo Jannacci quando con i Rusties di Marco Grompi (poi suo complice all’armonica e ai cori). La sfida più importante, alla fine, è quella con le proprie radici e Osvaldo Ardenghi l’ha affrontata colorando i fiumi, la ghiaia, i ricordi dell’infanzia, la serie B dell’Atalanta, le piazze e gli orti, tutto un piccolo mondo antico che ancora (e per fortuna) resiste all’incuria, con i suoni di una rock’n’roll band ed è così che una delle più intime dediche che si siano sentite al paesaggio (bergamasco e non solo) Drec al cör, suona come una canzone dei Crazy Horse (compreso il finale elettrico) o la storia di un good old boy diventa, sì, Ü brao scet (un bravo ragazzo, nella traduzione corretta) ma mantiene le sue prerogative country & western. Il dialetto delle valli si presta alle scorribande elettriche di Osvaldo Ardenghi (La dea sembra persino un riff degli X) e per uno che va in giro con l’autografo di Warren Haynes sulla chitarra arrivare Drec al cör è il minimo che si merita. (Stefano Hourria)

Nessun commento:

Posta un commento