mercoledì 1 aprile 2020

Roseluxx

Feritoia segna una svolta significativa nel progetto dei Roseluxx che si segnalano per un notevole impatto sonoro che si associa a una rara ricerca nelle parole delle canzoni. Principali responsabili sono Tiziana Lo Conte che oltre a scegliere registri interpretativi suggestivi si dedica alle speculazioni elettroniche e le chitarre di Claudio Moneta, che è anche l’autore di gran parte delle liriche. Dal canto loro il basso (ma anche contrabbasso e violoncello) di Federico Scalas e la batteria di Marco Della Rocca dialogano come se i Roseluxx fossero una strana democrazia capace di approfondire atmosfere intense e suadenti come nella bellissima Imparare ad attraversare la strada o esperimenti ben più spigolosi come il succedersi delle variazioni sul tema di Garage Moebius, che in fondo determina la coraggiosa forma di Feritoia. Quasi un intero racconto, unico e uniforme nella scrittura (compresa la splendida rivisitazione di Brigata partigiana Alphaville) ed estremamente dinamico nelle scelte musicali, con alterazioni che comprendono feroci schizzi free e cupe ballate (Tenebra, Via Rasella) che attraverso la Feritoia dei Roseluxx lasciano intravedere un universo fluttuante eppure ben preciso (e ben schierato) nel suo evolversi. Persino profetico quando nell’affascinante Dersu Uzala, Claudio Moneta scrive (e Tiziana Lo Conte canta) “dentro la mia civiltà io non respiro”. E, per dirla tutta, è solo con dischi come Feritoia che la musica italiana può avere qualche speranza di sopravvivere e di rinnovarsi. Altrimenti, guardatevi la replica di Sanremo, che tanto è sempre lo stesso. (Marco Denti)

lunedì 6 gennaio 2020

Edward Abbiati

Molto tempo fa Steve Wynn scriveva che è sempre nelle occasioni più difficili, cupi o pericolose che alla fine saltano fuori quei momenti memorabili per cui ci ricordiamo che il rock’n’roll è uno stile, un’attitudine, un modo di stare al mondo. Prima di tutto. Questo è anche il senso ultimo di Beat The Night, dove Edward Abbiati confessa di essersi trovato di fronte a notti infinite, dove non era facile trovare una risposta, e così ha guardato con coraggio nell’abisso e lì dentro ha trovato dieci ballate che toccano, con il cuore in mano, corde delicate e commoventi, valga su tutte la dedica paterna di Three Times Lucky. L’equilibrio emotivo, già un piccolo miracolo in sé, si riflette in modo spontaneo e naturale in un sound asciutto, la cui collocazione sta da qualche parte tra Steve Earle e i Replacements, punti di riferimento ideali di una gamma di arrangiamenti variopinta (basterebbe il dialogo tra le chitarre di Mike Brenner e Maurizio Glielmo in Look At Me) che rende Beat The Night il disco più personale di Edward Abbiati. L’evoluzione del suo songwriting, andata sviluppandosi attraverso le scorribande con i Lowlands e l’urticante esperienza con gli ACC, si snoda da un piccolo capolavoro come I Got Hurt alla trascinante Sleepwalking, una sorta di apologia dedicata a tutti coloro che sognano a occhi aperti tutti i giorni, tutto il giorno, e poi rimangono svegli la notte a contare le ore. Va solo aggiunto che Beat The Night è inciso (benissimo) homemade, è autoprodotto, indipendente e libero dalle banalità dell’industria discografica, perché certe emozioni vanno trattate con riguardo, scrupolo e attenzione, che ormai sono una rarità. (Marco Denti)