mercoledì 20 aprile 2022

Roberto Formignani

Una vita intinta nel blues, ma al momento di scegliere la via solista con l’omonimo album, Roberto Formignani lascia spazio a uno spettro molto più ampio, pur senza rinnegare di una virgola delle radici e delle esperienze sulle vie del blues, qui ribadite tra l’altro anche da Rumblin’ On My Mind. La scelta è evidente già dal potente impatto di Muddy Waters che incanala l’energia di Alessandro Lapia al basso e Roberto Morsiani alla batteria con un sound elettrico e chitarristico, dove i riff di Roberto Formignani non lasciano tregua. Qui si gioca in casa ed è un modello che si ritrova anche in Play For The Revolution, in simbiosi con ballate più gentili, come Now We Are Them e così Free Man, conclusa da una breve ed elegante coda di pianoforte, o nei frequenti intervalli strumentali di Painting The Note, della suggestiva e morriconiana The Cowboy’s Dream, del tour de force di Black Rabbit, di White Rose e del suggestivo finale di Blue Sunrise. Meritano un cenno particolare Hippy e Dirty And Rude, dove in modi diversi e contrastanti (la prima è una divagazione folkie, la seconda un corposo blues che non lascia scampo), Roberto Formignani oltre a dispensare tocchi chitarristici di gran classe, riepiloga una parte consistente dei suoi trascorsi musicali e giovanili concedendosi a una scrittura autobiografica che rende l’album il suo sforzo più ricco e personale e, in definitiva, generoso. Unica e ultima avvertenza: usare con il volume molto alto, i vicini capiranno. 

martedì 19 aprile 2022

Enrico Cipollini & The Skyhorses

Crossing è un disco avvolgente dove il naturale talento chitarristico (e non solo) di Enrico Cipollini viene riversato in una dozzina di canzoni che si collocano idealmente nel bel mezzo delle migliori stagioni del cantautorato americano, forse la più evidente delle influenze che segnano Down The Line, Somehow I Know, All I Really Know o The Only Name. Il sound è corposo e brillante, per quanto condotto dal ridotto combo degli Skyhorses, ovvero Iarin Munari alla batteria, Roberto Catani al basso e Fabio Cremonini al violino, e si fa notare dall’inizio di Slipping Away fino a Out of Here, ma è la personalità di Enrico Cipollini che emerge nell’arco dei quaranta minuti di Crossing. Si destreggia tra chitarre, dobro, basso, piano e se Inisheer o History Repeating possono ricordare il primo Ben Harper,  in What’s Left To Do o Not Worth It, o ancora nella squillante Migrant Bird, spicca la maturità di un songwriter che, oltre a scrivere le canzoni, è capace di leggerle e di garantirgli le giuste cornici. Tutto Crossing, compresa l’elegante confezione, riflette un’ispirazione e una disposizione che Enrico Cipollini chiarisce senza esitazioni nella nota introduttiva: sarà anche vero che pensare al formato dell’album in sé, di questi tempi può suonare invariabilmente “out of time”, ma è anche bello e importante sapere che esiste ancora qualcuno capace di inseguire un’idea e di lasciarsi trasportare senza preoccuparsi della destinazione. Consigliatissimo.

mercoledì 13 aprile 2022

SirJoe Polito

L’omaggio di SirJoe Polito al suo “amico” Ry Cooder si trasforma in un disco brillante, suonato con energia e gusto, ma anche con una spavalda spensieratezza che non concede spazio a timori reverenziali. Le dodici canzoni scelte sono tutte riportate con una raffinata architettura di armonie vocali, dove spesso SirJoe Polito è coadiuvato da uno o più cantanti, e dagli arrangiamenti delle chitarre, sempre presenti in tutte le versioni (elettriche, acustiche, e slide, naturalmente), degli inserti delle tastiere, dell’armonica e del sassofono. Nello specifico, sono davvero intense le interpretazioni di How Can a Poor Man Stand Such Times and Live?, nel duetto con Paul Millns, e di The Dark End of the Street con Ivano Berti, per un’originale rivisitazione tra reggae e gospel. In generale, il suono ricorda molto quello effervescente tra Chicken Skin Music e Bop Tll You Drop, anche se in realtà SirJoe Polito esplora un po’ tutta la carriera di Ry Cooder e dei suoi fondamentali, e vanno citati almeno Chuck Berry (13 Question Method), Arthur Alexander (Go Home Girl), Blind Blake (Ditty Wah Ditty) e la scoppiettante cavalcata di Little Sister, in origine firmata da Doc Pomus e Mort Shuman e riproposta per l’occasione con una verve trascinante che ricorda da vicino i primi Los Lobos. Da notare anche Across The Borderline e Tattler e in compagnia di Jeff Pevar e Inger Nova Jorgensen e la conclusione da intenditori con Goodnight Irene. Un disco di gran classe, che si può ascoltare all'infinito.