giovedì 9 novembre 2023

Nagaila

Testimonianza del percorso stilistico speciale e unico di Nagaila, Niente di reale avvolge con trame sonore elaborate, a tratti taglienti, più vellutate e incantevoli che sanno spiegare come “come fanno i sogni a sussurrare la verità”, uno dei versi più significativi di Venere, che poi viene puntualmente contraddetto nel finale. D’altra parte Niente di reale coltiva i contrasti con meticolosa partecipazione, assecondando l’intensa interpretazione vocale di Nagaila che senza sforzarsi incanta con piccole e affascinanti variazioni di tonalità, come succede in È tempo che rimane. Lo sfondo è garantito dalle orchestrazioni di Fidel Fogaroli le cui chitarre e tastiere creano la giusta atmosfera per canzoni che hanno una sensibile struttura pop, ma anche una raffinata natura d’autore, che si esprime al meglio in Delicata, Pesci sul confine e Artificiale, ma soprattutto nei riff ipnotici e nel grave pianoforte di Dracula che, insieme alla conclusione di Inverness, costituiscono il lato più ombroso, misterioso e profondo di Niente di reale. Lì si aprono già accennati in Misterica, dove la conduzione musicale si fa via via minimale, con una tromba (la stessa Nagaila) che si fa largo nello spesso ordito di sequenze, feedback e divagazioni elettroniche che imperversano sullo sfondo. Una colonna sonora crepuscolare e particolarmente attuale: Niente di reale è più un album da percepire che da ascoltare e dato che “le comete assorbono il segnale”, assorbitelo anche voi.

mercoledì 8 novembre 2023

Maverix

I Maverix non masticano soltanto ritmo ed energia come è d’obbligo in questo campo, dove un certo grado di caos è auspicabile e, per certi versi, inevitabile. Sì, si tratta senza dubbio di “nuotare nel buio senza controllo” come cantano in To The Alps, ma ci sta anche riconoscersi in un immaginario che comprende filamenti di scene americane (Josh Brolin, Sweet Alberta) e qualche vizio (Spaghetti Hymn, Cigars & Guns). È lì che i Maverix sanno organizzare attorno alle canzoni una bella struttura dinamica, ridotta all’osso quanto basta nella formula minima del trio, ma efficace dal punto di vista sonoro e capace di regolare le melodie chitarristiche country & western di Niccolò Cagnoni (ascoltate le note morriconiane di The Saddest of the Bar, giusto per esempio) sull’incessante deragliare della sezione ritmica (Matteo Bonini al basso e Alberto Dragoni alla batteria). Il risultato va un po’ oltre l’indispensabile ruvidità: Cowpunk! si rivela un disco ben rappresentativo, con un sound abrasivo e un sacco di armonie vocali e ritornelli contagiosi, passaggi strumentali adatti di Robert Rodriguez (prima fra tutti l’ouverture di 8.6) e riff spietati già predisposti per la spontanea combustione dal vivo, dove i Maverix sanno esprimersi al meglio e riescono a sparare rock’n’roll a tutto volume, che è sempre una cosa buona, giusta e senza controindicazioni. Seguiteli, seguiranno sviluppi molto presto.

martedì 3 ottobre 2023

Tiziano Tononi & The Pahà Sàpa Ensemble

In Winter Counts c’è tutta la drammatica storia dei nativi americani attraverso una montagna di musica aperta a tutte le evenienze. Se la base fondamentale è jazzistica, questa è l’origine di Tiziano Tononi, batterista, percussionista e deus ex machina di Winter Counts, nell’arco dei due dischi si inoltra in territori sonori molto distanti e a tratti in contrasto che l’ensemble attorno a Tiziano Tononi riesce a collocare in giusta misura che si tratti di Alan Stiwell, Johnny Horton, Johnny Cash o Frank Zappa. Le strutture dei brani si inerpicano lungo suite dalla forma sinuosa, libere nell’interpretazione e nell’improvvisazione, ma costruite secondo architetture ardite dove gli strumenti e le voci trovano comunque una precisa collocazione nel preciso impianto narrativo di Winter Counts che nella sua generosa collezione contiene saggi e note di James Grady, William Ferris, David Fulmer, Seba Pezzani e, naturalmente, dello stesso Tiziano Tononi. Così come la musica tende ad allargarsi, ad avvolgere e a suggerire atmosfere che ricordano le deportazioni (The Trail of Tears), i massacri (The Wounded Knee Rap) e le persecuzioni (A Holy Blues For John Trudell), la coerenza dell’elaborazione porta il nucleo centrale di Winter Counts, che parte dall’esperienza e dalle radici storiche americane, ad assumere un valore molto più ampio condivisibile anche sulle sponde del Mediterraneo. La formula, visti i tempi, è oltre modo coraggiosa perché si impone nelle dimensioni del lavoro e nello spirito free delle composizioni, nonché nel suo risoluto schierarsi dalla parte delle vittime di un mondo fragile e ingiusto ed è per questo che Winter Counts è un album cosmopolita, colossale, universale.

venerdì 28 luglio 2023

Grand Drifter

Anticipazione dell’album in uscita dopo l’estate, Beautiful Praise è ancora un gioiellino pop firmato da Andrea Calvo alias Grand Drifter è una dichiarata e orgogliosa “rivendicazione della gentilezza”, che ruota attorno alla costruzione leggiadra ed evocativa di tre minuti e quattro secondi. Ci sono echi espliciti e confermati di Simon & Garfunkel, Beach Boys, Burt Bacharach e questo almeno nelle intenzioni di Grand Drifter che però con quelle chitarre limpide, la batteria essenziale e lineare e le note rarefatte del piano e delle tastiere ricorda da vicino una bella stagione di cantautori nascosti dietro i nomi variopinti di Aztec Camera, Orange Juice, Josef K e, più avanti, anche Lloyd Cole & The Commotions o i mai dimenticati Housemartins compresa la passione inamovibile per i Go-Betweens (che di songwriter ne avevano addirittura due). Questo soltanto a livello di suggestioni e di indicazioni perché, pur nella sua mutevole forma, Gran Drifter ha ormai una sua precisa identità e la personalità di Andrea Calvo, pur sommando tutte le influenze fin qui riportate, è tale da poter dare un’interpretazione tutta sua del vasto universo pop. Beautiful Praise ha la fortuna di contenere già tutti gli aspetti (la delicatezza e l’armonia, la solidità del ritmo, l’incanto dell’atmosfera in generale) per assicurarsi un pezzo della stagione in corso, in attesa delle conferme autunnali che, non c’è dubbio, non mancheranno.

martedì 25 luglio 2023

Paolo Farina

C’è un gusto pop che riveste i Dieci pezzi facili di Paolo Farina che qui raccoglie una manciata delle sue canzoni più accessibili condendolo con un gusto che ricorda Edoardo Bennato e con un stile leggero, frizzante e inevitabilmente estivo, ma non privo di numerose raffinatezze sparse qui e là. Non è una sorpresa perché Paolo Farina negli anni ha dato prova di sperimentare con la world music nell’ensemble degli Etnoritmo o con l’esperienza progressive degli Humana Prog, con il blues o con il mutevole nome d’arte di Vallone, nonché con svariate soluzioni cantautorali, non ultimi i Provini per Colombini. Con Dieci pezzi facili però trova un tono singolare, sia nella formazione delle parole che nell’architettura del suono, che ha una sua naturale gradevolezza, con ritornelli sempre accattivanti, molto più del tormento radiofonico a cui siamo costretti. Non escluso (anzi) il ricorso a una sana e congrua dose di ironia che spicca in Una diva hollywoodiana, in Stupida come me nella turbolenta Vieni qui, piccoli ritratti di vita quotidiana che Paolo Farina canta senza dover inerpicarsi in note impossibili, piuttosto con un’attitudine confidenziale. Perfetta l’organizzazione musicale curata da Giuseppe Fiori, Antonio Polidoro e Lele Battista che condiscono i Dieci pezzi facili di arrangiamenti molto discreti e accurati, senza divagazioni e con grande armonica. Curatissima anche l’impostazione grafica della confezione che ricorda tempi in cui i dischi erano oggetti importanti, anche solo con Dieci pezzi facili.

domenica 23 luglio 2023

Tiziano Cantatore

Le canzoni di Dave Alvin, Townes Van Zandt, John Prine costituiscono un trittico raffinato e di gran classe nel cuore di La luna del giorno dopo, ma l’identità cantautorale non deve trarre in inganno perché il suono che Tiziano Cantatore annuncia e persegue è quello di una rock’n’roll band che attinge alla grande tradizione che va da Byrds ai R.E.M. passando per Tom Petty, con una grande dispiego di chitarre a sei e a dodici corde che si dividono in modo equo le diverse fasi delle canzoni. È una luna un po’ italiana e molto americana che si accorda in modo spontaneo alle liriche di Tiziano Cantatore che compiono un viaggio circolare sottolineato alla perfezione dalle due differenti versioni di La voce che manca, quella al completo, che funziona da ouverture, e una acustica posta in chiusura che la trasforma quasi in una lullaby. Compreso tra questi estremi c’è un intenso racconto in words & music di sogni e paesaggi, avvolti in una felice fragranza di arrangiamenti che mettono in luce la passione di Tiziano Cantatore per gli States, ma anche per la tradizione del cantautorato italiano. Nell’insieme questo coraggioso ibrido di lingue e culture distanti affascina per la grazia con cui viene affrontato ogni singolo momento: La luna del giorno dopo è bella piena e, come insegna Neil Young (uno particolarmente votato alle influenze delle fasi lunari) è propizia a un grande raccolto, che Tiziano Cantatore offre con l’esperienza di un vecchio nomade e la generosità dell’indomito sognatore.

lunedì 29 maggio 2023

dellarabbia

Nei suoni feroci di lunganotte, i dellarabbia (Marco Schietroma, chitarre, basso, batteria, Adamo Fratarcangeli, piano, violino, organo, tastiere, chitarra acustica e Americo Roma, parole e programming) non hanno soltanto trovato una nuova e più articolata personalità rispetto a L’era della rabbia, il fortunato album di esordio. Qui i dellarabbia si mostrano capaci di una svolta imponente, sia a livello sonoro che nella scrittura delle canzoni, dove le inquietudini rispecchiano “la voglia di ritrovarsi, di superare l’oscurità, di tornare ad usare la nostra fantasia oltre gli schemi e le regole sociali”, che poi è quello che dovrebbe fare la musica e che si sente, eccome se si sente, fin dall’inizio dell’album, e primo singolo, con L’ultimo saluto che è l’inizio di una perentoria colonna sonora metropolitana e notturna dove le chitarre elettriche aggrediscono senza tregua, quasi a evocare “una metamorfosi” o, ancora di più, una mutazione condensata con un’energia sterminata e compressa in questi anni sui bordi dell’abisso. Il riferimento cinematografico non è casuale: i dellarabbia si accostano alle canzoni con le prospettive deviate di George Romero o di David Lynch e sanno modulare atmosfere tra una realtà sempre più sfuggente e un mondo sognato e irraggiungibile, dove la notte “è piena di lividi”. L’articolazione musicale, piena, ricca ed eccentrica, da La crisalide a Sonnambuli certifica una maturazione importante che pone senza dubbio i dellarabbia tra le realtà più importanti della musica italiana attuale. Vorremmo vederli a Sanremo, se servisse qualcosa, magari a mettere un po’ di “disordine”, che non guasta mai.

lunedì 22 maggio 2023

Daniele Tenca

Non è facile cambiare in modo così radicale, anche se Daniele Tenca è sempre stato in grado di giostrarsi tra più possibilità compresse tra blues e rock’n’roll. Con Just A Dream però ha svoltato verso sonorità più moderne e coraggiose, intrise di una gamma che va dal rhythm and blues all’hip-hop con un’apice, volendo, nella grandissima interpretazione di I Can’t Breathe di H.E.R., arricchita dalla presenza di Guy Davis.  Daniele Tenca non è insolito a interpretazioni costruite e vissute in modo molto personale, anzi, è facile trovarne in ogni suo lavoro, ma in Just A Dream lo sforzo è stato più che notevole, ribadito peraltro dalla versione di This Land di Gary Clark, che arriva nel finale con una nota di organo spettrale. Del resto, tutto l’album è imperniato su temi dolorosi e quanto mai necessari, e anche qui è un altro elemento di coerenza nella sua storia, che Daniele Tenca riesce ad affrontare con una scrittura nitida, a volte ridotta all’osso (No More Time Left) a volte più elaborata (Cellphone Ringtone Left), sempre molto acuta nell’interpretare la realtà (Scars In Sight). Le chitarre (lo stesso Daniele Tenca e Heggy Vezzano) spadroneggiano ma Just A Dream ha un “sound design” più articolato: se è vero che in Pretty Mama scorre ancora incontrastato lo shuffle, quasi come una nota di sollievo, il contesto generale è la cornice adatta a canzoni che sono una livida fotografia dei nostri tempi, che pongono domande non più rimandabili (What If He Was You Son?) e che nel solco della musica tracciano una linea ben precisa tra chi ci prova e chi ha qualcosa da dire.

giovedì 18 maggio 2023

The Bustermoon

Non capita spesso di sentire un disco così vitale ed entusiasta come The Other Pocket, dove i Bustermoon mettono a fuoco anni di esperienza internazionale in una collezione di canzoni coraggiose ed eclettiche. Federico Stagno (voce), Stefano Stagno (chitarra), Andrea Monaci (basso) e Fulvio Grisolia (batteria) sembrano non aver alcun timore a mescolare le più disparate influenze, con una particolare e scrupolosa attenzione alla carica ritmica. Solo così si spiegano le divagazioni in levare (la brillante The Shark) o certi riff serratissimi come quelli di Jonathan Living Stone, che suona persino come un brano dei Cars. I Bustermoon giocano a tutto campo, con una componente di divertimento, divagazioni e allegria che nulla toglie alla bellezza delle canzoni. La qualità emerge in modo indiscutibile quando rivelano una corposa dedizione alla ballata made in America, ma riletta con grande personalità in Listening As A Stranger e, ancora di più, in Like A Shiver. Da lì in poi The Other Pocket finisce proprio come era cominciato (con la solare She’s My Girl) ovvero con una bella sferzata di energia, gli armonici squillanti, le chitarre acustiche e una sequenza di stacchi e partenze e scosse che ricordano persino la Dave Matthews Band, almeno quanto a competenza e swing. I Bustermoon però sono più ruspanti e così rivestono di solchi anche il compact disc che alla fine, vuoi la sorpresa, vuoi il calore che ci mettono in ogni parte, quasi suona davvero come un vinile. Non lasciateveli scappare, meglio ancora se vi capita di trovarli dal vivo.

mercoledì 17 maggio 2023

Angelo Leadbelly Rossi

C’è un intensità in questo It Don’t Always Matter How Good You Play che ormai è una preziosissima rarità, e come tale andrebbe accolta, goduta e conservata. “Quello che sentite è quello che abbiamo suonato” avvisa Angelo Leadbelly Rossi che in buona compagnia di Simone Luti alla chitarra, Roberto Luti al basso ed Enrico Cecconi alla batteria hanno intessuto una tessitura continua, ipnotica che attorno all’essenzialità del blues, sviluppa linee trasversali che, se seguite con scrupolo, riescono a collegare punti geografici solo in apparenza così distanti. Forse non è un caso che It Don’t Always Matter How Good You Play sia stato registrato a Livorno, una città portuale con una storia millenaria, una finestra capace di lasciare venti dall’Africa (c’è molto Mali nei riff di Wait A Little Longer More e Who Gonna Remember What?) o ricordi del Mississippi (Old Memories Sound Good To Me). Le canzoni si sviluppano tutte attorno all’intreccio delle chitarre e all’incedere senza sosta della sezione ritmica e la spontaneità del sound è in naturale contrasto con la profondità del songwriting di Angelo Rossi, capace come pochi di affrontare temi intimi e personali, per non dire dolorosi, per trasformarli in qualcosa di universale e qui basti, giusto per esempio, Grateful To Be Here, una sorta di gospel spiritato con gli strumenti suonati in punta di dita fino all’esplosione, che conclude con i fuochi d’artificio delle chitarre, uno dei dischi più belli usciti quest’anno.

venerdì 10 febbraio 2023

Evasio Muraro

Sperimentare, per Evasio Muraro, è un'arte ben precisa che non ha confini da rispettare. In questo nuovo album un dettagliato uso delle parole si combina perfettamente con le atmosfere sonore, a tratti sorprendenti, in un clima a volte claustrofobico come la sensazione che potrebbe avere l’astronauta all’interno della propria tuta spaziale. Pregevoli risvolti pop, nel senso migliore del termine, nei ritornelli in
Solo e nel brano Lei lei, che mi ricorda Paul Westerberg quando infila piccole gemme all’interno di album obliqui. E se alcune melodie ripercorrono, qua e là, qualcosa dai dischi precedenti, in quanto stile consolidato, il vestito sonoro è abilmente nuovo, deciso, intrigante e ci consegna una perla acustica come Tenera, poetica e bella nella sua semplicità. Otto canzoni che vanno ascoltate bene per assaporare tutti i dettagli che contengono e leggere, sì leggere, contemporaneamente i testi perché è così che si può apprezzare fino in fondo il lavoro di un artista. (Michele Anelli)

mercoledì 11 gennaio 2023

The Jolly Shoes Sisters

Nelle Jolly Shoes Sisters s’incontrano due generazioni di musiciste cresciute sulla strada e swingando musica destinata a restare per sempre. Un terzo di canzoni originali, un terzo che arrivano dalla prima metà del ventesimo secolo americano, un terzo di contagiosa allegria: il cocktail delle Jolly Shoes Sisters viene servito con gli stessi ingredienti, ma con sapori differenti che dipendono dai luoghi e dai tempi con cui è servito. Il pianoforte e la fisarmonica di Laura Fedele forniscono la spina dorsale mentre l’ukulele e la washboard di Veronica Sbergia movimentano un viaggio nel tempo e nella geografia. Dal jazz al boogie, senza un attimo di tregua, le Jolly Shoes Sisters ci portano a Chicago dove Louis Armstrong incise la classicissima St. James Infirmary che loro rifanno in una versione elegiaca (con la tromba di Marco Brioschi in evidenza) e poi alle Hawaii con il frizzante scioglilingua di Makin’ Wickey-Wackey Down In Waikiki e infine a Cuba dove tutto è cominciato. Le voci di Laura Fedele e Veronica Sbergia si associano con una spontaneità naturale e trovano i felici contrappunti di Lucio Fabbri al violino in Love My Shoes o del clarinetto e del sassofono di Mauro Porro. L’atmosfera è densa, colorita ed effervescente, ma anche ricca di una sua profondità, compreso l’omaggio al “rispetto” di Aretha Franklin (con Enrico Rava al flicorno) che si associa in modo inequivocabile ai segnali femminili dei sandali rossi lasciati sulla riva del guado che ha portato le Jolly Shoes Sister a Shake Your Shimmy che è un album di gran classe, ricercato, raffinato e divertente, tutto insieme, con una generosità più unica che rara.