giovedì 28 luglio 2022

Andrea Giannoni

Il blues scritto sulla pelle, echi che vengono dal profondo nella notte, e si trasformano in canzoni dense e vitali, sporche e genuine, proprio come è la vita, e come è la natura di Andrea Giannoni. La pressione di At Home Again resta inalterata per tutto il corso dei dieci brani, sia quando attorno alla voce e alle armoniche di Andrea Giannoni si mobilitano piano e organo, tromba e chitarre, sia quando il sound si fa via via più rarefatto. I suoni sono sempre densi e avvolgenti, come intensi e potenti sono i blues di Andrea Giannoni, compresi quelli scritti in simbiosi con Monica Faridone, una componente fondamentale di At Home Again. Non sono di meno gli strumentali (Take It Easy o Born In A Wrong Place) che sono altrettanti sanguigni, anche senza il tormento delle parole, che poi costituiscono l’elemento trascinante e stridente che si manifesta in tutta la sua forza in Little Boy of Mine, una sorta di gospel spiritato, per sola voce e armonica, nella scarna This Girl Like The Blues e più di tutto in Black Angel presente sia nello snodo iniziale e che nella versione conclusiva, quasi a chiudere un cerchio e a completare un rito, un esorcismo per tutti i “fantasmi” che inseguono Andrea Giannoni e, per estensione, ogni bluesman che si rispetti. L’unica concessione al personalissimo flusso di coscienza è I’m So Lonesome I Could Cry, omaggio a un altro grande spettro, quello di Hank Williams che infatti è cantata da Bobby Soul, un’eccezione che, in sé, conferma l’essenza spiritata di di At Home Again.

mercoledì 20 aprile 2022

Roberto Formignani

Una vita intinta nel blues, ma al momento di scegliere la via solista con l’omonimo album, Roberto Formignani lascia spazio a uno spettro molto più ampio, pur senza rinnegare di una virgola delle radici e delle esperienze sulle vie del blues, qui ribadite tra l’altro anche da Rumblin’ On My Mind. La scelta è evidente già dal potente impatto di Muddy Waters che incanala l’energia di Alessandro Lapia al basso e Roberto Morsiani alla batteria con un sound elettrico e chitarristico, dove i riff di Roberto Formignani non lasciano tregua. Qui si gioca in casa ed è un modello che si ritrova anche in Play For The Revolution, in simbiosi con ballate più gentili, come Now We Are Them e così Free Man, conclusa da una breve ed elegante coda di pianoforte, o nei frequenti intervalli strumentali di Painting The Note, della suggestiva e morriconiana The Cowboy’s Dream, del tour de force di Black Rabbit, di White Rose e del suggestivo finale di Blue Sunrise. Meritano un cenno particolare Hippy e Dirty And Rude, dove in modi diversi e contrastanti (la prima è una divagazione folkie, la seconda un corposo blues che non lascia scampo), Roberto Formignani oltre a dispensare tocchi chitarristici di gran classe, riepiloga una parte consistente dei suoi trascorsi musicali e giovanili concedendosi a una scrittura autobiografica che rende l’album il suo sforzo più ricco e personale e, in definitiva, generoso. Unica e ultima avvertenza: usare con il volume molto alto, i vicini capiranno. 

martedì 19 aprile 2022

Enrico Cipollini & The Skyhorses

Crossing è un disco avvolgente dove il naturale talento chitarristico (e non solo) di Enrico Cipollini viene riversato in una dozzina di canzoni che si collocano idealmente nel bel mezzo delle migliori stagioni del cantautorato americano, forse la più evidente delle influenze che segnano Down The Line, Somehow I Know, All I Really Know o The Only Name. Il sound è corposo e brillante, per quanto condotto dal ridotto combo degli Skyhorses, ovvero Iarin Munari alla batteria, Roberto Catani al basso e Fabio Cremonini al violino, e si fa notare dall’inizio di Slipping Away fino a Out of Here, ma è la personalità di Enrico Cipollini che emerge nell’arco dei quaranta minuti di Crossing. Si destreggia tra chitarre, dobro, basso, piano e se Inisheer o History Repeating possono ricordare il primo Ben Harper,  in What’s Left To Do o Not Worth It, o ancora nella squillante Migrant Bird, spicca la maturità di un songwriter che, oltre a scrivere le canzoni, è capace di leggerle e di garantirgli le giuste cornici. Tutto Crossing, compresa l’elegante confezione, riflette un’ispirazione e una disposizione che Enrico Cipollini chiarisce senza esitazioni nella nota introduttiva: sarà anche vero che pensare al formato dell’album in sé, di questi tempi può suonare invariabilmente “out of time”, ma è anche bello e importante sapere che esiste ancora qualcuno capace di inseguire un’idea e di lasciarsi trasportare senza preoccuparsi della destinazione. Consigliatissimo.

mercoledì 13 aprile 2022

SirJoe Polito

L’omaggio di SirJoe Polito al suo “amico” Ry Cooder si trasforma in un disco brillante, suonato con energia e gusto, ma anche con una spavalda spensieratezza che non concede spazio a timori reverenziali. Le dodici canzoni scelte sono tutte riportate con una raffinata architettura di armonie vocali, dove spesso SirJoe Polito è coadiuvato da uno o più cantanti, e dagli arrangiamenti delle chitarre, sempre presenti in tutte le versioni (elettriche, acustiche, e slide, naturalmente), degli inserti delle tastiere, dell’armonica e del sassofono. Nello specifico, sono davvero intense le interpretazioni di How Can a Poor Man Stand Such Times and Live?, nel duetto con Paul Millns, e di The Dark End of the Street con Ivano Berti, per un’originale rivisitazione tra reggae e gospel. In generale, il suono ricorda molto quello effervescente tra Chicken Skin Music e Bop Tll You Drop, anche se in realtà SirJoe Polito esplora un po’ tutta la carriera di Ry Cooder e dei suoi fondamentali, e vanno citati almeno Chuck Berry (13 Question Method), Arthur Alexander (Go Home Girl), Blind Blake (Ditty Wah Ditty) e la scoppiettante cavalcata di Little Sister, in origine firmata da Doc Pomus e Mort Shuman e riproposta per l’occasione con una verve trascinante che ricorda da vicino i primi Los Lobos. Da notare anche Across The Borderline e Tattler e in compagnia di Jeff Pevar e Inger Nova Jorgensen e la conclusione da intenditori con Goodnight Irene. Un disco di gran classe, che si può ascoltare all'infinito.

mercoledì 16 marzo 2022

Dr. Faust

Dopo aver espugnato il Pistoia Blues Festival nel 1997, l’inossidabile brigata di Dr. Faust & The Coffee House Brothers, due anni dopo si ritrova su un altro prestigioso palco, quello del Porretta Soul Festival, dove si adeguano al clima generale (già piuttosto torrido) aprendo il loro breve, ma intenso show con la classicissima Soul Man di Sam & Dave. Il biglietto da visita serve per introdurre due canzoni originali scritte da Fausto Scaravaggi alias Dr. Faust, ovvero Hey tu proprio tu e Bisogno di blues e la torrenziale versione di Sweet Home Chicago (più di un quarto d’ora) con Giancarlo Schinina, già leader della Level Blues Band all’armonica, alla cui memoria è dedicato questo disco dal vivo. Curioso il formato scelto, che rimanda al Qdisc, ovvero la versione italiana dell’EP, con due brani per ogni facciata: qui in realtà le quattro canzoni stanno tutte in un singolo CD e forse è anche meglio così perché rendono al meglio l’energia trasmessa per l’occasione da Dr. Faust & The Coffee House Brothers, in una formazione sontuosa con tanto di sezione fiati e background vocals femminili, ovvero le bravissime Sara Grimaldi e Veronica Sbergia. È giusto un assaggio e un ricordo sgargiante di un bel momento, però è anche un riassunto efficace di quello Dr. Faust & The Coffee House Brothers fanno da trent’anni a questa parte, ormai con grande esperienza, ma sempre con lo stesso, contagioso entusiasmo.

martedì 15 marzo 2022

Grand Drifter

Qui il progetto Grand Drifter prende forma in modo più compiuto rispetto l’essenza cantautorale di Lost Spring Songs e ancora una volta gli Yo Yo Mundi, sotto mentite spoglie, danno a Only Child un suono omogeneo e compatto che mette in risalto quel jingle-jangle chitarristico, in particolare in Haunted Life e As A Light Fareweel, che è una sua caratteristica ricorrente. Emergono così le dichiarate passioni britanniche, e non, di Andrea Calvo con sensazioni che riportano ai Felt, ai primi Smiths, a Jazz Butcher, agli amati Go-Betweens e persino ai R.E.M. di Fables of The Reconstruction. Proprio quelle atmosfere sognanti, introspettive e un po’ malinconiche affiorano nell’acustica The Big Without, adornata dagli archi di Chiara Giacobbe, il giusto intervallo nelle scorribande pop di A Deal With The Rain, Diary Of Sorts, Bookends o To The Evening Stars, dove l’approccio più vigoroso del solito sposa il baricentro di Grand Drifter verso qualcosa che ha ancora ampi margini evolutivi, pur confermando tutte le doti già rivelate da Andrea Calvo all’epoca di Lost Spring Songs: il gusto per l’immediatezza delle canzoni, l’accuratezza delle armonie vocali, gli arrangiamenti spontanei e nello stesso tempo raffinati coltivati con cura artigianale e molto altro, che va scoperto ascolto dopo ascolto nel corso di Only Child. Ha pure il pregio di durare giusto una mezz’ora, senza chiedere molto di più. Un disco per i giorni di pioggia, ma adatto a tutte le stagioni.

martedì 11 gennaio 2022

Paolo Ronchetti

Infaticabile animatore di dozzine di spettacoli, con repertori che vanno da Enzo Jannacci a Tom Waits, collezionista inguaribile dei dischi di John Zorn, hombre musical a tutto tondo, Paolo Ronchetti si sta avviando, finalmente, all’esordio discografico, più che meritato e, in un certo senso, persino dovuto. Adoro le canzoni di Natale è un primo assaggio di quello che sarà, ma è già decisamente rappresentativo dell’eclettico approccio di Paolo Ronchetti. Con Adoro le canzoni di Natale trova una prima canzone delicata e complicata che si articola sull’esperienza autobiografica, sia dal punto di vista reale della passione per le canzoni natalizie, sia per il riflesso di un musicista che ha provato la sottile distinzione tra gioia e dolore. Un canzone dall’impianto degregoriano, almeno a prima vista, con tutta una sua dolcezza e un suo equilibrio elettroacustico che meritano di essere approfonditi. Colpisce per la gentilezza e l’armonia, ma Paolo Ronchetti sa sorprendere e cambia subito registro, senza preavviso. Nelle sue canzoni natalizie ci mette la classicissima Santa Claus Is Back In Town rivista come un blues abrasivo, con un sound che è un ideale connessione tra Chicago e New Orleans e che sta agli antipodi di Adoro le canzoni di Natale. E ancora di più merita di essere scoperta la rilettura di un tradizionale anglosassone, Soul Cake, rielaborato e corretto in un’avvolgente chiave psichedelica. A quel punto le canzoni di Natale sono giusto un pretesto e vengono travolte dall’eclettica visione musicale di Paolo Ronchetti, che attendiamo alla verifica sulla lunga distanza, prevista, come pare, nel corso del 2022.