Come
racconta gianCarlo Onorato nel suo bellissimo Ex (Vololibero Edizioni) c’è stato un momento in cui
Firenze era diventato l’epicentro dei nuovi suoni italiani. Non si tratta
soltanto di dischi e passioni, di un legame dichiarato con certe espressioni anglosassoni
(che gli Underfloor hanno assorbito e digerito a lungo), ma piuttosto del
prendere atto della consapevolezza dei propri mezzi, di essere in grado di
“formulare un progetto estetico e contenutistico, e in grado soprattutto di
creare importanti collegamenti tra la musica e le altre discipline”. Parole che
di adattano alla perfezione al quarto disco degli Underfloor, che vede
un’importante maturazione del gruppo fiorentino, cresciuto in termini di
arrangiamenti con la disposizione degli affascinanti archi di Giulia Nuti e
un’esperta suddivisione tra le priorità delle canzoni e gli improvvisi sviluppi
strumentali, dove le chitarre (in un bell’equilibrio tra elettriche e
acustiche), viola e violino e le tastiere si intrecciano con una corposa struttura
ritmica. Quattro è una concreta
prova di coraggio, che non teme smentite nella bizzarra e intensa evoluzione di
Stomp, nell’elegiaca Intorno a
me, nel gusto sonoro (analogico) che
ricorda quella Firenze, ipnotica e romantica, ormai uno stile (pop) a sé stante
che gli Underfloor hanno saputo trasformare in una proposta personale e
convincente. Compreso l’artwork di Quattro, semplice e accattivante, come
capita di rado. (Lucia Jorio)
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