lunedì 29 maggio 2023

dellarabbia

Nei suoni feroci di lunganotte, i dellarabbia (Marco Schietroma, chitarre, basso, batteria, Adamo Fratarcangeli, piano, violino, organo, tastiere, chitarra acustica e Americo Roma, parole e programming) non hanno soltanto trovato una nuova e più articolata personalità rispetto a L’era della rabbia, il fortunato album di esordio. Qui i dellarabbia si mostrano capaci di una svolta imponente, sia a livello sonoro che nella scrittura delle canzoni, dove le inquietudini rispecchiano “la voglia di ritrovarsi, di superare l’oscurità, di tornare ad usare la nostra fantasia oltre gli schemi e le regole sociali”, che poi è quello che dovrebbe fare la musica e che si sente, eccome se si sente, fin dall’inizio dell’album, e primo singolo, con L’ultimo saluto che è l’inizio di una perentoria colonna sonora metropolitana e notturna dove le chitarre elettriche aggrediscono senza tregua, quasi a evocare “una metamorfosi” o, ancora di più, una mutazione condensata con un’energia sterminata e compressa in questi anni sui bordi dell’abisso. Il riferimento cinematografico non è casuale: i dellarabbia si accostano alle canzoni con le prospettive deviate di George Romero o di David Lynch e sanno modulare atmosfere tra una realtà sempre più sfuggente e un mondo sognato e irraggiungibile, dove la notte “è piena di lividi”. L’articolazione musicale, piena, ricca ed eccentrica, da La crisalide a Sonnambuli certifica una maturazione importante che pone senza dubbio i dellarabbia tra le realtà più importanti della musica italiana attuale. Vorremmo vederli a Sanremo, se servisse qualcosa, magari a mettere un po’ di “disordine”, che non guasta mai.

lunedì 22 maggio 2023

Daniele Tenca

Non è facile cambiare in modo così radicale, anche se Daniele Tenca è sempre stato in grado di giostrarsi tra più possibilità compresse tra blues e rock’n’roll. Con Just A Dream però ha svoltato verso sonorità più moderne e coraggiose, intrise di una gamma che va dal rhythm and blues all’hip-hop con un’apice, volendo, nella grandissima interpretazione di I Can’t Breathe di H.E.R., arricchita dalla presenza di Guy Davis.  Daniele Tenca non è insolito a interpretazioni costruite e vissute in modo molto personale, anzi, è facile trovarne in ogni suo lavoro, ma in Just A Dream lo sforzo è stato più che notevole, ribadito peraltro dalla versione di This Land di Gary Clark, che arriva nel finale con una nota di organo spettrale. Del resto, tutto l’album è imperniato su temi dolorosi e quanto mai necessari, e anche qui è un altro elemento di coerenza nella sua storia, che Daniele Tenca riesce ad affrontare con una scrittura nitida, a volte ridotta all’osso (No More Time Left) a volte più elaborata (Cellphone Ringtone Left), sempre molto acuta nell’interpretare la realtà (Scars In Sight). Le chitarre (lo stesso Daniele Tenca e Heggy Vezzano) spadroneggiano ma Just A Dream ha un “sound design” più articolato: se è vero che in Pretty Mama scorre ancora incontrastato lo shuffle, quasi come una nota di sollievo, il contesto generale è la cornice adatta a canzoni che sono una livida fotografia dei nostri tempi, che pongono domande non più rimandabili (What If He Was You Son?) e che nel solco della musica tracciano una linea ben precisa tra chi ci prova e chi ha qualcosa da dire.

giovedì 18 maggio 2023

The Bustermoon

Non capita spesso di sentire un disco così vitale ed entusiasta come The Other Pocket, dove i Bustermoon mettono a fuoco anni di esperienza internazionale in una collezione di canzoni coraggiose ed eclettiche. Federico Stagno (voce), Stefano Stagno (chitarra), Andrea Monaci (basso) e Fulvio Grisolia (batteria) sembrano non aver alcun timore a mescolare le più disparate influenze, con una particolare e scrupolosa attenzione alla carica ritmica. Solo così si spiegano le divagazioni in levare (la brillante The Shark) o certi riff serratissimi come quelli di Jonathan Living Stone, che suona persino come un brano dei Cars. I Bustermoon giocano a tutto campo, con una componente di divertimento, divagazioni e allegria che nulla toglie alla bellezza delle canzoni. La qualità emerge in modo indiscutibile quando rivelano una corposa dedizione alla ballata made in America, ma riletta con grande personalità in Listening As A Stranger e, ancora di più, in Like A Shiver. Da lì in poi The Other Pocket finisce proprio come era cominciato (con la solare She’s My Girl) ovvero con una bella sferzata di energia, gli armonici squillanti, le chitarre acustiche e una sequenza di stacchi e partenze e scosse che ricordano persino la Dave Matthews Band, almeno quanto a competenza e swing. I Bustermoon però sono più ruspanti e così rivestono di solchi anche il compact disc che alla fine, vuoi la sorpresa, vuoi il calore che ci mettono in ogni parte, quasi suona davvero come un vinile. Non lasciateveli scappare, meglio ancora se vi capita di trovarli dal vivo.

mercoledì 17 maggio 2023

Angelo Leadbelly Rossi

C’è un intensità in questo It Don’t Always Matter How Good You Play che ormai è una preziosissima rarità, e come tale andrebbe accolta, goduta e conservata. “Quello che sentite è quello che abbiamo suonato” avvisa Angelo Leadbelly Rossi che in buona compagnia di Simone Luti alla chitarra, Roberto Luti al basso ed Enrico Cecconi alla batteria hanno intessuto una tessitura continua, ipnotica che attorno all’essenzialità del blues, sviluppa linee trasversali che, se seguite con scrupolo, riescono a collegare punti geografici solo in apparenza così distanti. Forse non è un caso che It Don’t Always Matter How Good You Play sia stato registrato a Livorno, una città portuale con una storia millenaria, una finestra capace di lasciare venti dall’Africa (c’è molto Mali nei riff di Wait A Little Longer More e Who Gonna Remember What?) o ricordi del Mississippi (Old Memories Sound Good To Me). Le canzoni si sviluppano tutte attorno all’intreccio delle chitarre e all’incedere senza sosta della sezione ritmica e la spontaneità del sound è in naturale contrasto con la profondità del songwriting di Angelo Rossi, capace come pochi di affrontare temi intimi e personali, per non dire dolorosi, per trasformarli in qualcosa di universale e qui basti, giusto per esempio, Grateful To Be Here, una sorta di gospel spiritato con gli strumenti suonati in punta di dita fino all’esplosione, che conclude con i fuochi d’artificio delle chitarre, uno dei dischi più belli usciti quest’anno.