mercoledì 1 dicembre 2021

Michele Anelli

È curioso e a suo modo significativo il valore del percorso artistico che ha portato Michele Anelli a scoprirsi e riscoprirsi Sotto il cielo di Memphis, proprio come recita il titolo del suo ultimo album. Partito dalle ruvidità garage degli Stolen Cars, cresciuto nell’evoluzione dei Groovers e poi inoltratosi in una carriera solista, Michele Anelli ha dovuto sondare tutte le radici rock’n’roll per trovarne una sua personalissima versione coniugata con la declinazione delle parole in italiano. Ci sono voluti anni e, paradossalmente, è stato proprio quel viaggio americano (non solo a Memphis, ma anche con una bella passeggiata sul Jersey Shore) a consentirgli di trovare la sintesi tra le sue passioni primarie anglosassoni e la sensibilità lirica nostrana. Sotto il cielo di Memphis condensa tutto ciò attraverso la qualità delle canzoni che hanno trovato il loro sound nella collaborazione con Cesare Nolli, Paolo Legramandi, Andrea Lentullo, e Nik Taccori e la loro definizione in un tono personale e convinto che trova la sua essenza tematica tra Quello che ho e Sono chi sono. Ma Sotto il cielo di Memphis succede molto altro, tra il groove insistente ma discreto e quegli arrangiamenti che, tra chitarre e tastiere, riportano ogni break e ogni riff alle origini e ai trascorsi di tutte le rock’n’roll band di Michele Anelli. È un disco che riporta tutto a casa, pur seguendo un tragitto che a prima vista non è né lineare né formale, ma tutto sommato la sua bellezza va cercata proprio lì.

martedì 30 novembre 2021

Maurizio Gnola Glielmo

Beggars And Liars è uno di quei dischi che ti si incolla addosso al primo ascolto e non ti molla più: dopo una lunghissima carriera con il premiato marchio della Gnola Blues Band, Maurizio Glielmo cambia tutto, ma come succede nei migliori casi, senza sfiorare nulla. C’è un’interpretazione di Baby’s Gonna Kick di John Hiatt (particolarmente amato da Gnola) e una ballata che viene dallo stesso  vocabolario, Something Is Changing, ma l’influenza più appariscente è, un po’ a sorpresa, quella di J. J. Cale e non solo per il sound accattivante di Judgement Day, ma proprio per quell’attitudine artigianale a colorire e a rifinire le canzoni come se fossero piccoli e raffinati gioielli. Lo sono, sì, eccome, basta ascoltare I Got Hurt, con la partecipazione del (grande) songwriter che l’ha composta, Edward Abbiati, ed è così che il primo, vero disco solista di Maurizio Gnola Glielmo si trasforma nel lavoro di una rock’n’roll band, persino allargata ai compagni di scrittura e di baldoria (all’appello risponde anche Jimmy Ragazzon, per gentile concessione dei Mandolin’ Brothers). Ma l’impressione, peraltro già affiorata in Down The Line, è piuttosto quella di scostarsi un attimo dall’etichetta del blues, per aprirsi a tutte le possibilità, pur mantenendo salde le radici originali che Beggars And Liars lascia filtrare qui e là con coerenza e rispetto e se non vi emozionate con la versione di You Left The Water Running ripescata dal meraviglioso songbook di Dan Penn, avete un problema con il cuore che nessun cardiologo può risolvere. 

mercoledì 16 giugno 2021

Luca Milani

All’inizio di una nuova avventura, Luca Milani ha confezionato un singolo che è nello stesso tempo un salto nel passato e un ritorno al futuro. Nella struttura di Dirty Hearts, gli accordi scarni e acustici riportano all’esordio di Scars and Tattoos, ma il tappeto di tastiere fornito da Fidel Fogaroli, sposta la canzone verso atmosfere piuttosto inedite per Luca Milani, che, dal canto suo, ci mette tutta una nuova intensità nell’interpretazione. È un passaggio delicato, probabilmente, un primo accenno di maturità compositiva che, senza perdere l’energia trasmessa in una vita tra una rock’n’roll band e l’altra, prova a cercare qualcosa di diverso perché, in fondo, “le anime libere non fanno promesse perché sanno che il tempo cancellerà tutto”. Gli sviluppi andranno esplorati al momento dell’uscita dell’album, Warriors Grow Up And Die (bel titolo), previsto dopo l’estate, ma intanto va detto che Luca Milani ha avuto il coraggio di affrontare un passaggio per certi versi ineluttabile, ma che i più tendono a eludere, e di averlo fatto con una notevole padronanza, il che lascia supporre al di là di tutto che Dirty Hearts non sia un caso isolato. Anche l’immancabile videoclip, curato da Carlo Lancini, sembra indicare una visione di canzone e di suono complessiva più riflessiva, attenta e scrupolosa, con una valigia tenuta ben stretta e pronta a un viaggio tutto da scoprire. Tra l’altro in rete si trova anche un’anticipazione di un’altra canzone, Sorry Mom, che sembra già confermare quel filo conduttore che passa per Dirty Hearts. Rock’n’roll adult, come avrebbe detto Garland Jeffreys, che di queste cose se ne intende. (Lucia Jorio)

giovedì 28 gennaio 2021

Luca Rovini

Luca Rovini è un cuore fuorilegge che persegue con furiosa convinzione un’indipendenza musicale, tale da risultare immediatamente credibile, e anche qualcosa in più. Nella mezza dozzina di album che ha partorito, sempre autoprodotti in libertà, ha dato modo di aver saputo interpretare e fare suoi i modelli del cantautorato americano a cui fa esplicito riferimento, rileggendoli e riproponendoli in chiave del tutto personale. Succede anche in L’ora del vero dove lui e i suoi desperado macinano La pioggia vien giù (alias The Rain Come Down di Steve) e Billy di Dylan con grande nonchalance sfoderando un suono tale che i Compañeros di Luca Rovini non sfigurerebbero né davanti ai Dukes dei tempi migliori né accanto a uno dei tanti gruppi del Never Ending Tour. Il consolidato apporto di Peter Bonta (chitarre e molto altro), Emiliano Baldacci (batteria) e Andrea Pavani (basso) porta le canzoni in una direzione più energica ed elettrica che ben si adeguano ai paesaggi umani ritratti da Luca Rovini, che ha lo sguardo giusto per vedere gli Angeli ubriachi sulla via o Dove brillano le barche, o il senso della destinazione per camminare Coi tacchi sporchi lungo una Strada rossa che spesso e volentieri finisce accanto al mare o, volendo, in Un altro inganno. Se proprio bisogna fare un’ipotesi, nelle atmosfere crepuscolari di Luca Rovini, L’ora del vero (che è il suo disco più bello) arriva sempre quando è Quasi mezzanotte, in quei momenti in cui è facile trovare una risposta in una canzone, e qui di canzoni ce ne sono tante, e anche di risposte. (Marco Denti)