È curioso e a suo modo significativo il valore del percorso artistico che ha portato Michele Anelli a scoprirsi e riscoprirsi Sotto il cielo di Memphis, proprio come recita il titolo del suo ultimo album. Partito dalle ruvidità garage degli Stolen Cars, cresciuto nell’evoluzione dei Groovers e poi inoltratosi in una carriera solista, Michele Anelli ha dovuto sondare tutte le radici rock’n’roll per trovarne una sua personalissima versione coniugata con la declinazione delle parole in italiano. Ci sono voluti anni e, paradossalmente, è stato proprio quel viaggio americano (non solo a Memphis, ma anche con una bella passeggiata sul Jersey Shore) a consentirgli di trovare la sintesi tra le sue passioni primarie anglosassoni e la sensibilità lirica nostrana. Sotto il cielo di Memphis condensa tutto ciò attraverso la qualità delle canzoni che hanno trovato il loro sound nella collaborazione con Cesare Nolli, Paolo Legramandi, Andrea Lentullo, e Nik Taccori e la loro definizione in un tono personale e convinto che trova la sua essenza tematica tra Quello che ho e Sono chi sono. Ma Sotto il cielo di Memphis succede molto altro, tra il groove insistente ma discreto e quegli arrangiamenti che, tra chitarre e tastiere, riportano ogni break e ogni riff alle origini e ai trascorsi di tutte le rock’n’roll band di Michele Anelli. È un disco che riporta tutto a casa, pur seguendo un tragitto che a prima vista non è né lineare né formale, ma tutto sommato la sua bellezza va cercata proprio lì.
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