A prima vista, Black & White è una sorta di concept album concentrato nell’omaggio alla California, da Stephen Stills a David Crosby fino a Tom Waits, da sempre passioni di SirJoe Polito. Alle interpretazioni di 4 + 20 e della classicissima Almost Cut My Hair in una versione rarefatta e quanto mai attuale, fa seguito Bronx Lullaby/Smuggle’s Waltz, con un sassofono spaziale che è l’unico interlocutore (anche in Last Night e Happy New Year) oltre alle onnipresenti chitarre che sparse in quantità ottime e abbondanti, si alternano nelle possibilità acustiche ed elettriche come succede in Friend Come And Go e nella conclusiva Life. Il sound è corposo ed elegante (sentite Sunny Day in Santa Monica, con uno splendido inciso chitarristico in perfetto stile Ry Cooder, nota inclinazione di SirJoe Polito), con dinamiche ritmiche che si rivelano di volta in volta e il volume degli amplificatori incontrastato, come accade in Run Against The Wind, che nel titolo contiene un richiamo anche a Bob Seger, un altro che, a suo tempo, è rimasto intrappolato dalle parti della Pacific Coast Highway. Detto questo, Black & White non è soltanto un tributo sacrosanto e dichiarato alla West Coast americana: è nello stesso tempo il suo disco più coraggioso e intimo perché Sirjoe Polito conosce la materia come pochi altri e le canzoni originali si accostano con naturalezza a quelle dei troubadour californiani, e non è poco. Un’ulteriore nota alla confezione curatissima in tutti i dettagli, dall’apparato grafico alle note di copertina alle immagini, tutta una ricchezza assemblata con gusto e attenzione, proprio come si facevano i dischi un secolo fa.