Nella realtà di Lost Spring Songs c’è più Regno Unito che Stati Uniti, ci sono i Beatles (versante John Lennon) che si riconoscono dal gusto pop raffinato, a cui vanno aggiunti una punta di malinconia e un tratto psichedelico. A convogliare tutto quanto nei Grand Drifter è Andrea Calvo che nell’occasione raduna i Knot Toulouse del mai dimenticato Gianrico Bezzato e i vicini di casa Yo Yo Mundi (produce Paolo Archetti Maestri) più qualche amico e amica a seguirlo nelle sue melodie. A dispetto del titolo, l’elenco comprende una dozzina di ballate autunnali, che spaziano da Circus Days, una canzone incantevole che in un mondo più felice sarebbe l’hit mattutino di ogni radio, a temi più incalzanti come Junkyard o Flesh And Bones o The Way She Knows, dove Lost Spring Songs tradisce una certa familiarità anche con le invettive delle “garageland” e dintorni. Senza esagerare: gli arrangiamenti restano sempre molto misurati e variano da una selezione di chitarre acustiche ed elettriche, pochi accordi di pianoforte ben distribuiti, un sacco di armonie vocali, un’armonica morriconiana, bizzarre tastiere che un tempo si sentivano solo nei dischi degli XTC e altre polverine magiche sparse tra strofe e ritornelli, dove Grand Drifter alias Andrea Calvo sa creare un’atmosfera unica e in grado di reggere tutte le Lost Spring Songs. Ecco, le canzoni hanno una grazia che ormai è difficile trovare, in particolare in Italia, e il suono ha anche una sua grezza fragilità che senza dubbio è una componente della poetica dei Grand Drifter, e per fortuna, perché non se ne può più di dischi gonfiati a dismisura, come se dovessero occupare tempo e spazio, più che regalare emozioni. Lost Spring Songs, al contrario, s’insinua con la gentilezza di una pioggia dopo una lunga siccità, dura poco meno di quarantacinque minuti, come un antico vinile, con tutti i suoi “rumori umani” e, ascolto dopo ascolto, si rivela uno dei dischi italiani più belli degli ultimi anni. (Marco Denti)
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