In un momento in cui la musica italiana sembra essere collassata su se stessa, in un gorgo senza senso di parole e suoni a caso, Lettere al neon è un piccola luce, molto coraggiosa nel cercare sfumature intense e delicate. Emanuele De Francesco gioca con le ombre, con i silenzi, con le pause assecondato in questo dalla produzione (molto accorta) dei colleghi Evasio Muraro e Lele Battista, Un team esiguo ed essenziale (completato dall’efficace batterista Maurizio Gaggianesi e da Moreno Zaghi alle chitarre) che trasferisce al suono di Lettere al neon una personalità concentrata ma sufficiente per far risaltare le canzoni di Emanuele De Francesco. Il gusto è pop, nella sostanza, ma dentro quei contorni emergono molte sequenze raffinate che fanno di Lettere al neon un’oasi dove si respira l’aria migliore del grande cantautorato italiano, e non. Con un’attenzione specifica alle atmosfere evocate dalle osservazioni notturne (In silenzio e Nei percorsi della notte), un sorprendente loop in Irene nel vuoto, le suggestioni elettriche nella riflessione puntualissima di Televisione e la brillante escursione di Tutto ha un nome?, Emanuele De Francesco condensa in poco più di mezz’ora una notevole progressione rispetto all’esordio (peraltro pregevole) di In quieta mente, e si trova il suo spazio con grande decisione e intraprendenza, ma anche con una grazia nel cantare, quasi sottovoce, quasi chiedendo permesso, che ormai è sconosciuta, e che nei colori sgranati di Lettere al neon è il regalo migliore. (Marco Denti)
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