Si può spiegare Far
Out dei Mandolin’ Brothers
con un concetto semplice, essenziale, elementare, diretto: rock’n’roll al suo
meglio. Dove abitano o che idioma parlano quando non cantano rimane un fattore
abbastanza trascurabile, a questo punto: i Mandolin’ Brothers, qui coadiuvati
con grande discrezione e assoluta dedizione alla causa da Jono Manson,
dimostrano con Far Out
di padroneggiare la lingua del rock’n’roll con tutta quella naturalezza che
viene da un’insolita e instabile quel tanto che basta miscela di esperienza e
istinto. Del primo ingrediente di questa gioiosa nitroglicerina, i Mandolin’
Brothers ne hanno in abbondanza, essendo sulla strada da oltre trent’anni. Del
secondo, sono ancora così appassionati, e in Far Out a tratti si sente persino a livello
epidermico, da essersi lasciati alle spalle, senza troppe esitazioni, anche un
disco (splendido) come Still Got Dreams. Con Far Out, e lo dice il titolo stesso, si sono allontanati da
casa, parecchio, e in effetti la confluenza di intenzioni tra Mandolin’
Brothers e Jono Manson ha prodotto qualcosa di diverso, rivelando un’elasticità
e una visione, in prospettiva, del tutto inedite. I capolavori sono altri,
d’accordo e nessuno in questa sede ha intenzione di contraddire i giudici, i
critici e le enciclopedie. I Mandolin’ Brothers (e Jono Manson, che abbiamo
adottato) vivono il rock’n’roll in un altro modo, che poi è quello giusto. Con
un riff in più e il volume leggermente alticcio, che è poi il senso giusto con
cui accostarsi a Far Out.
(Eddie Spinazzi)
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