Il blues scritto sulla pelle, echi che vengono dal profondo nella notte, e si trasformano in canzoni dense e vitali, sporche e genuine, proprio come è la vita, e come è la natura di Andrea Giannoni. La pressione di At Home Again resta inalterata per tutto il corso dei dieci brani, sia quando attorno alla voce e alle armoniche di Andrea Giannoni si mobilitano piano e organo, tromba e chitarre, sia quando il sound si fa via via più rarefatto. I suoni sono sempre densi e avvolgenti, come intensi e potenti sono i blues di Andrea Giannoni, compresi quelli scritti in simbiosi con Monica Faridone, una componente fondamentale di At Home Again. Non sono di meno gli strumentali (Take It Easy o Born In A Wrong Place) che sono altrettanti sanguigni, anche senza il tormento delle parole, che poi costituiscono l’elemento trascinante e stridente che si manifesta in tutta la sua forza in Little Boy of Mine, una sorta di gospel spiritato, per sola voce e armonica, nella scarna This Girl Like The Blues e più di tutto in Black Angel presente sia nello snodo iniziale e che nella versione conclusiva, quasi a chiudere un cerchio e a completare un rito, un esorcismo per tutti i “fantasmi” che inseguono Andrea Giannoni e, per estensione, ogni bluesman che si rispetti. L’unica concessione al personalissimo flusso di coscienza è I’m So Lonesome I Could Cry, omaggio a un altro grande spettro, quello di Hank Williams che infatti è cantata da Bobby Soul, un’eccezione che, in sé, conferma l’essenza spiritata di di At Home Again.
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