Non è la prima
rivoluzione a cui Daniele Ronda si applica con il solito entusiasmo. Aveva già
lasciato la canzone leggera italiana per intrufolarsi nel mondo curioso del
dialetto e della tradizione, in cui si è districato con una destrezza tutta
sua. A riprova, La sirena del Po è
ancora lì da sentire, visto che è approdata sulle rive del fiume poco più di un
anno fa. Nel frattempo Daniele Ronda, oltre a macinare chilometri su chilometri
con un’intensità degna dei grandi artisti, ha scelto ancora di giocarsi il
futuro tirando la monetina, senza guardare troppo a cosa fanno il fuoco e il
tempo, due elementi che consumano senza rimedio. Ha rimesso mano al Folklub
(che non è mai stato così solido) e, sorpresa, tra la via Emilia e il West ha
schiacciato l’accelleratore proprio in quest’ultima direzione. La rivoluzione,
più che per l’universo lirico di Daniele Ronda, che si va delineando sempre con
maggiore precisione (basta concedergli Un attimo, per capirlo) si mette il gioco sollevando una gran
polvere di suoni irlandesi e americani, con alcune inedite sferzate di
rock’n’roll, che è sempre meglio della rivoluzione. Non si tratta proprio di
una novità, perché chi l’ha seguito dal vivo nei suoi coloriti happening sa che
il Folklub non bada a spese, ma dentro La rivoluzione è evidente che sta crescendo un capitano capace di
cambiare tutto, senza cambiare niente, che è poi la prerogativa principale per
diventare grandi. (Marco Denti)
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