Luca Rovini è un cuore fuorilegge che persegue con furiosa convinzione un’indipendenza musicale, tale da risultare immediatamente credibile, e anche qualcosa in più. Nella mezza dozzina di album che ha partorito, sempre autoprodotti in libertà, ha dato modo di aver saputo interpretare e fare suoi i modelli del cantautorato americano a cui fa esplicito riferimento, rileggendoli e riproponendoli in chiave del tutto personale. Succede anche in L’ora del vero dove lui e i suoi desperado macinano La pioggia vien giù (alias The Rain Come Down di Steve) e Billy di Dylan con grande nonchalance sfoderando un suono tale che i Compañeros di Luca Rovini non sfigurerebbero né davanti ai Dukes dei tempi migliori né accanto a uno dei tanti gruppi del Never Ending Tour. Il consolidato apporto di Peter Bonta (chitarre e molto altro), Emiliano Baldacci (batteria) e Andrea Pavani (basso) porta le canzoni in una direzione più energica ed elettrica che ben si adeguano ai paesaggi umani ritratti da Luca Rovini, che ha lo sguardo giusto per vedere gli Angeli ubriachi sulla via o Dove brillano le barche, o il senso della destinazione per camminare Coi tacchi sporchi lungo una Strada rossa che spesso e volentieri finisce accanto al mare o, volendo, in Un altro inganno. Se proprio bisogna fare un’ipotesi, nelle atmosfere crepuscolari di Luca Rovini, L’ora del vero (che è il suo disco più bello) arriva sempre quando è Quasi mezzanotte, in quei momenti in cui è facile trovare una risposta in una canzone, e qui di canzoni ce ne sono tante, e anche di risposte. (Marco Denti)